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Parrocchia di S. Vittore

In mezzo alle vicende guerresche dei primi secoli dell’era volgare, il Cristianesimo si era andato diffondendo nell’immenso impero di cui Roma era padrona, conquistando la civiltà greco-romana e sostituendosi lentamente all’antica religione.

La leggenda indica San Barnaba come primo apostolo dell’Insubria; ma solo per opera dei vescovi Materno, Virgilio e Giulio la nuova fede si diffuse nelle nostre campagne e già nel IV secolo vi erano chiese battesimali o matrici, quali fra noi Galliano di Cantù, Agliate ed Incino, con propri sacerdoti addetti.

Albavilla vista chiesa

Per più secoli nelle campagne unico parroco fu il capopieve o arci­prete o prevosto, attorno al quale si raccoglievano a vita comune (ca­nonica) tutti i sacerdoti che lo aiutavano nel sacro ministero e che nei dì festivi si distribuivano nei vari vici, ville, contrade, pagi della vasta parrocchia plebana, per un’assistenza spirituale più diretta.

Vennero così man mano formandosi le varie parrocchie per forza di cose (aumento della popolazione, disagio di comunicazione con la plebana, ecc.) ed il sacerdote o canonico già assistente alla chiesa di fatto, ne diveniva parroco naturalmente ratificato dal voto popolare e dall’assenso vescovile.


Nella nostra diocesi e nella nostra pieve le parrocchie autonome non hanno principio (salvo rari casi) che dal 1400 circa; un antico documento anteriore a questa data e riguardante lo stato della Chie­sa milanese, non accenna che alla chiesa ed al prevosto di Sant’Eufemia d’Incino: le altre sono cappelle e cappellanie.

Circa la fondazione della Parrocchia di San Vittore M. in Villalbese, non esiste memoria alcuna nell’archivio parrocchiale e neppure si rica­vano notizie di sorta dai registri, i quali incominciano dalla seconda me­tà del sec. XVI. In un documento del 1470 si parla di «Beneficio Curato di S. Vittore in Villa» e si nomina un «Ven. Dnus Prbr. Johannes de Ferrariis » ivi residente e che poteva esserne il titolare. D’altra parte nello stesso documento si danno norme per il caso di una possibile separazione di detto Beneficio dalla Rettoria di S. Margherita di Albese e S. Pietro di Cassano, per cui appare come a quei tempi le tre località costituissero una sola parrocchia.

Il  fatto poi che in altri documenti del 1489 e 90, riguardanti lo stesso argomento e sostitutivi del precedente scritto, non si accenni più a tal clausola, fa credere che in quel ventennio avvenisse la separazione fra Villa ed Albese.

La successione dei parroci di Villalbese si può rilevare solo dalle firme apposte ai registri parrocchiali, delle quali però i più vecchi sono privi.

 

LA VECCHIA E LA NUOVA CHIESA PARROCCHIALE 

Goffredo da Bussero, nel suo famoso Catalogo degli altari e delle chiese della diocesi di Milano, scritto certamente prima della fine del secolo XIII, non accenna ad alcuna chiesa o cappella esistente a Villal­bese, mentre invece ricorda una chiesa con tre altari ad Albese.

A meno che (come ritien probabile anche il card. Schuster in « O­doporicon » 1940 vol. 11) non debba attribuirsi al nostro paese quella notizia con cui è segnalata: «In plebe Incini, loco Saconago, Ecclesia Sancti Victorij».

Nel qual caso bisogna supporre che a quei tempi il nostro paese si chiamasse «Saconago», o tale perlomeno fosse il toponimo ristretto alla zona in cui sorgeva la chiesa.

Certamente una cappella dedicata a San Vittore Martire esisteva già nel secolo appresso, dal momento che se ne trova menzione nella «No­titia Cleri Mediolanensis» del 1398.

La stessa cappella, almeno nelle parti più antiche (forse inizialmen­te orientata secondo le regole liturgiche e quindi sullo stesso asse dire­zionale della chiesa attuale), era quella volgarmente chiamata «Chiesa Vecchia», che fino ad una cinquantina di anni fa esisteva perpendico­larmente dietro la parrocchiale costruita nella prima metà del sec. XVIII e detta pertanto « Chiesa Nuova ».

Con l’ampliamento di quest’ultima, l’antica chiesuola è stata demo­lita nel 1914, ed ora, sull’area già da essa occupata, s’innalza la cupola poliedrica dell’attuale parrocchiale.

La costruzione di quell’antica chiesetta dava segni di aver subito modificazioni (già ne accennai), che furon giudicate risalire al principio del sec. XVI, forse agli inizi stessi della parrocchia. Le croci sulle sue pareti laterali attestavano ch’era stata consacrata.

Il parroco Tocchetti (1872-19 Il), iniziatore del «Liber Chronicus» parrocchiale, ritiene ignoti data ed autore di tale consacrazione; ma una sbiaditissima nota latina posta alla fine di un registro parrocchiale, attesta come tale consacrazione sia avvenuta il 6 novembre 1562 per mano di Mons. Gerolamo Ferragatta, vescovo suffraganeo milanese e visita­tore generale per conto di San Carlo, che, ancora residente a Roma per impegni di Curia, già si preoccupava vivamente dell’amministrazione della sua diocesi, e vi provvedeva per mezzo di persone di sua fiducia, in attesa di poterlo fare, quanto prima, personalmente.

Dalla nota suddetta e dalle copiose postille che l’Oltrocchi pone in calce all’edizione latina della vita di San Carlo, scritta dal Giussani, ri­levo come quel mons. Ferragatta fosse di origine Casalese, vescovo «Vi­rensis» (probabilmente titolare di una diocesi « in partibus infidelium », come allora si diceva), onore e vanto dell’ordine Agostiniano e destinato poi, alcuni anni appresso, a reggere il vescovato d’Aosta.

La chiesuola aveva il soffitto alla cappuccina ed il suo altare mag­giore. già dedicato a San Vittore, era stato poi spostato e intitolato alla «Madonna della Rosa» (detta anche, volgarmente, «della Chiesa Vec­chia»), quando agli inizi del sec. XVIII, fabbricandosi la nuova parroc­chiale, dovettero essere sacrificate due cappelle laterali della vecchia chiesa, delle quali una appunto era stata fino allora sotto il veneratissimo titolo di tale Madonna.

Sopra a detto altare maggiore, in muratura, si ergeva pertanto un tabernacolo con dipinta a fresco l’immagine della B. V. col Bambino, che ora, ricalcata e riportata nella chiesa attuale, ne occupa una cap­pella dal lato del Vangelo.

Dietro l’altar maggiore esistevano anticamente la « Sacrestia della chiesa » e la « Sacrestia della scola », che nel 1728, dopo l’erezione della nuova parrocchiale, fecero posto ad un coro ad uso della Confraternita del S.S., che diede poi luogo alla lunga vertenza cui già si accennò più sopra.

Fra gli altri dipinti di qualche valore che erano sulle pareti della stessa antica chiesuola (e che purtroppo andarono distrutti...), era note­vole uno raffigurante pure una Vergine, venerata sotto l’invocazione di « Madonna del Parto ». Anche questo affresco ha potuto essere salvato e riportato nella chiesa attuale.

Sotto il pavimento di questa cosiddetta Chiesa Vecchia e negli scavi eseguiti attiguo ad essa, si rinvennero ampie e profonde tombe, conte­nenti fino a mezza profondità ossa putrefatte di morti ivi sepolti. Lungo le pareti e a poca profondità, qualcuna anzi a fior di terra, si scopersero altre tombe, strette tanto da contenervi a stento una sola persona, con resti di ossa, fibbie da scarpe, avanzi di stole e di vesti sacerdotali.

Anticamente, infatti, i defunti si seppellivano nelle chiese o nei «luo­ghi sagrati» ad esse contigui. Che anche a fianco della nostra antica chiesa esistesse il camposanto, è dimostrato, oltre che da quanto soprad­detto, anche dallo schizzo planimetrico esistente in Curia fra gli atti delle antiche Visite Pastorali dell’epoca di San Carlo.

Per chi volesse farsi un’idea dell’arredamento di quella chiesa al principio del seicento, basterà uno sguardo alla seguente nota:
ChiesaParrocchiale

«Inventario delle robbe ritrouate nella chiesa parrocchiale di S. Vit­tore del luogo di Villa Pieve d’Incino et consegnate dal M. R. Sig.re Isin­cano Prevosto et Vic°. For°. di detta Pieue à me P. Pietro Paolo Ganim­berti Curato di detta Villa il giorno 19 di gennaio dell’anno 1607 che fu nel principio ch’io ebbi detta Cura et cominciai a risiedere: P°.  -  alcuni scritture et libretti spettanti à legati pii et offici celebrationi di messe, un Psalterio et un sacramentale et un missale ambro.

Item  -  in sacristia un camice frusto; tovaglie due piccole di lon­ghezza di bracci 6 e 1/2 con franza argentata; una stolla, manipolo et pianeta et Pallio di damasco rosso; un pallio frusto; un mosche tto per il tabernacolo di Bambaci frusto; doi altri moschetti uno rosso et l’altro bianco di zandale; un Tabernacolo gestatoio di ottone adorato; due Pis­side una grande et una piccola; calici doi con le patene; corporali n. 6 con sue animette; una borsa rossa di damasco; velli de calici tre, uno bianco uno verde et uno rosso; purificatori n. 12; continentie n. due di zandale; amitti doi, cordoni doi, tovaglie doi grandi ».

Segue poi l’elenco degli arredi di proprietà della Confraternita, già trascritto nel capitolo precedente ed un altro degli oggetti acquistati da detto parroco.

Ma la nostra chiesuola, eretta chissà quando e rimaneggiata al prin­cipio del. cinquecento, era già ritenuta inadeguata all’accresciuto numero dei parrocchiani nel 1612, quando il card. Federico Borromeo, nella sua Visita Pastorale, invitava quel parroco a richiedere da persone compe­tenti un progetto di ampliamento, facendone per parte sua varie pro­poste.

Così si giunse, temporeggiando, fino al 1700, quando il parroco Ago­stino Cardona si assunse l’arduo compito della fabbrica di una nuova chiesa.

Si acquistò all’uopo un orto adiacente alla vecchia chiesa e si ini­ziarono i lavori nel 1705, alla presenza del feudatario conte Archinti.

Nell’Archivio Plebano di Erba esiste un discreto plico di documenti relativi alla costruzione di questa chiesa, delle sue cappelle e dei sepol­cri privati.

Per molti anni ed a più riprese si lavorò per la costruzione di questa opera, e varie furono le cause che ne ritardarono il compimento; le troviamo elencate nello stesso plico sotto il titolo: «Superseminavit zizaniam in medio tritici  -  Origine et cagione de’ malori della causa della noua Chiesa ».

Benchè benedetta dal card. Odescalchi nel 1727, non si poteva dirla ancora compiuta, per il fatto che si trovano documenti relativi alla co­struzione di due cappelle e sepolcri dei Cardona e dei nob. Carpani, da­tati 1728. In essi documenti si chiedeva all’arcivescovo dal capitano N.

H. Galeazzo Giacinto Carpani: «di far fare nella detta chiesa la cappella più vicina all’altare maggiore dalla parte del Vangelo con anche il suo sepolcro per esso et per i suoi successori ». E dal parroco Cardona « di fare la seconda capella dalla parte dell’Epistola più vicina alla porta col suo sepolcro per esso et suoi nipoti ».

Da ciò si arguisce come in origine gli altari laterali di questa nuova chiesa fossero quattro; e difatti in altro documento di spettanza del Be­neficio della Rosa trovo scritto: «I benefici Sacchi, Torchio e Cardona avevano tutti nella chiesa le loro cappelle ossia altari denominati di S. Paolo, di S. Giuseppe, di S. Francesco e di S. Caterina, e questi furono nell’anno 1837 per ordine della Fabbriceria demoliti ed i loro rispettivi quadri furono nell’anno 1855 dal parroco don Giovanni Besesti ceduti per una pezzenteria a quello di Casiglio, il quale li collocò nella chiesa di sua Parrocchia »

Siamo appena alla distanza di un secolo dall’erezione della nuova chiesa e già se ne deve constatare l’insufficienza. La popolazione della parrocchia si accresce negli ultimi decenni dello scorso secolo con un ritmo tanto accelerato, che alla fine il card. Ferrari, nella sua Visita del 1898, raccomandava caldamente che si provvedesse all’ingrandimento della chiesa.

Ma parecchi motivi di vario ordine si opponevano ad una pronta soluzione del problema. Il parroco Tocchetti, già avanzato in età, non si sentiva la forza di sobbarcarsi ad un tale peso, la mancanza di dispo­nibilità finanziarie toglieva d’altra parte una possibilità qualsiasi di ri­medio, ed infine una vecchia convenzione con la Casa Cardona, stipulata all’epoca dell’erezione della parrocchiale, impediva il suo eventuale pro­lungamento che sarebbe stato dannoso all’abitazione di quella famiglia.

Giungiamo così, fra l’attesa e le ristrettezze, fino alla nomina del par­roco Caglio, il quale, con l’onere spirituale della cura di questa parroc­chia, si assunse altresì quello materiale di dotarlo di una più ampia e rispondente parrocchiale (1911).

Due anni prima moriva senza eredi necessari il concittadino Gio­vanni Ciceri, uomo di profondi sentimenti religiosi, e lasciava i propri beni a scopo benefico, destinando lire cinquantamila a favore della chie­sa e nominando erede universale e libero esecutore testamentario mons. Ciceri, vescovo di Pavia, nostro conterraneo e suo parente.

Monsignore si accinse subito all’opera, dìvenendone la mente ispi­ratrice e direttrice, e dividendo col parroco anche le non lievi responsa­bilità.

Negli anni 1912 e '13 si fecero progetti e pratiche in seguito a cui scartata una prima idea di fabbricare ancora ex novo la parrocchiale, si decise per l’ampliamento della chiesa esistente; ampliamento che venne eseguito su area occupata:

a) dall’abside, campanile e due sacrestie della chiesa esistente;

b) dalla cosiddetta Chiesa Vecchia;

c) dal giardino, rustico e parte della casa parrocchiale che in compenso venne restaurata.

L’ampliamento della parrocchiale doveva essere eseguito su disegno dell’ing. Devoti di Pavia, a ciò incaricato da mons. Ciceri; ma essendo quegli morto prima di incominciare i lavori, ne fu incaricato il parroco di Vergiate, don Locatelli. L’esecuzione fu affidata all’Impresa Costr. Edi­lizie Figli di P. Castelli di Siziano, sotto la direzione di un loro fiducia­rio, ing. Aliprandi di Bresso.

I lavori ebbero inizio nella primavera del 1914; la prima pietra fu solennemente benedetta il 7 - 12 da mons. Ciceri, che dettò pure l’epi­grafe di circostanza, e fu calata a fondamento della lesena che si alza a fianco della balaustra dalla parte dell’epistola.

I lavori proseguirono con una certa alacrità, sì che nel gennaio 1916 cominciarono a celebrarvisi le sacre funzioni. Lo stesso mons. Ciceri procedette alla consacrazione della Chiesa ampliata il 7 maggio dello stesso anno.

In tre successive riprese, cominciando dal 1921, si provvide alla de­corazione ed affrescatura dell’ampia parrocchiale e nel settembre 1928 si poterono inaugurare e benedire gli affreschi da mons. Marelli, vescovo di Bergamo. Ne fu creatore ed esecutore il pittore Beghè, al quale pure si devono i cartoni del Battesimo di Gesù nella cappella del Battistero, eseguito però dal pittore Fumagalli nel 1936.

Gli affreschi rappresentano: l’Assunta al centro della cupola e sui fianchi di questa la Crocifissione, la Natività, Gesù tra gli afflitti ed il Cristo che calma la burrasca, alternati ai quattro Evangelisti. Quattro quadri sulla volta della parte vecchia rappresentano scene della vita del Santo Patrono, oltre le figurazioni allegoriche delle virtù. La Gloria di S. Vittore dipinta al centro è opera preesistente di G. Valtorta (1851).

Del Beghè sono pure la Vergine di Pompei ed il Martirio di San Vittore nelle rispettive cappelle laterali; mentre gli affreschi sui contro-altari del Crocifisso e di S. Anna sono stati eseguiti nel 1838 dal pittore O. Andina.

Nel 1965-66, provvedendosi ad un restauro delle decorazioni, si è ritenuto opportuno sostituire il precedente affresco dell’abside, rappre­sentante la Sacra Famiglia, con un’Ascensione, eseguita dal prof. Con­coni di Como, il quale ha pure modificato parzialmente l’Adorazione del Sacramento affrescata sulla volta del presbiterio.

La parrocchiale è molto vasta e vi predomina lo stile rinascimentale. La icnografia del tempio è a forma di croce, coi bracci laterali non ec­cessivamente sviluppati e terminanti in absidi semicircolari, minori però di quella della navata longitudinale.

La cupola, di pianta poligonale, si appoggia sulle otto lesene corri­spondenti al centro della croce e si presenta con ampiezza molto accen­tuata

La chiesa ha ora quattro altari laterali, essendone stati rimossi altri due nel 1946 per dare alla parte vecchia un’ampiezza proporzionata a quella aggiunta.

Nella cripta sottostante alla sacrestia ed alla penitenzieria si ten­gono le riunioni dei sodalizi parrocchiali.

Merita infine una particolare menzione il bel portale di sarizzo sulla facciata della chiesa, pregevole opera di stile barocco, ornata di una sta­tua equestre del Patrono.

Ma non si può concludere questa lunga sequenza sulla nostra par­rocchiale, senza neppure un cenno alle sue campane...

E’ facile immaginare quale fosse il primo mezzo rudimentale con cui si chiamavano a raccolta i fedeli nei vecchi tempi: la « maliola ». Ce n’è rimasta ancora traccia visibile a San Salvatore sopra Crevenna: una lastra di pietra sospesa ad una fune e tempellata da un’apposita maz­zuola rivestita di cuoio. Se non anche un aggeggio in legno con infissi battenti di ferro snodati: la raganella o « trichtrach », com’era ancora in uso, alcuni anni fa, per gli ultimi dì della Settimana Santa.

Ma poi vi si sostituì una modesta campanella, probabilmente allo­gata tra due semplici pilastrini al sommo del tetto.

Nella seconda metà del cinquecento la chiesa aveva già il suo bravo campanile, innestato in un fianco della facciata e la primitiva «marti­nella» si era già forse associata quella sorella che le sarebbe stata com­pagna fino agli inizi del XVIII secolo.

Fu appunto nel 1713 che le campanelle diventarono tre, fuse da Ni­colò Comollo e consacrate dal vescovo di Como. Un concerto ancora modesto: poco più di 12 quintali complessivi.

Sorta nel 1727 la nuova parrocchiale, le campane rimasero ancora quelle, finché nel 1784 fu inaugurato un nuovo concerto di cinque cam­pane (do-sol) di oltre 45 quintali. Probabilmente a tale epoca rimontava pure il campanile della Chiesa Nuova, situato sul lato opposto a quello della torre attuale.

Nel 1870 nuova rifusione ed ulteriore aumento: dalla Ditta Bizzo­zero di Varese si ebbero sei campane (sibemolle-sol) per complessivi 71 quintali.

Nel 1917, ultimato l’ampliamento della chiesa, fu pure finito il nuo­vo campanile, l’attuale, che tornò a prender posto sul lato verso il mon­te. Il castello di sostegno delle campane era stato rinnovato l’anno precedente dai F.lli Parravicini fu Gaetano.

Le campane, di cui le due maggiori furono requisite durante l’ultima guerra, crebbero ancora successivamente di numero e di peso. Così nel 1950 nacque una bella ottava in sibemolle grave: un complesso di 81 quintali fuso dai F.lli Barigozzi di Milano.

Detto così della chiesa «madre» e del campanile suo consorte, a completare la famiglia mi resta ancora l’obbligo di passare in rapida rassegna le chiese, gli oratori e le cappelle «filiali».

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